Regolamento Ue su immigrazione e asilo politico, solo schiaffi all’Italia
Il testo approvato dal Consiglio dell’Ue è ai limiti della crudeltà e peggiora profondamente il testo del Parlamento europeo. Chi canta vittoria non sa davvero di cosa parla.
Molto è stato scritto sulle decisioni assunte dal Consiglio dell’UE dei giorni scorsi su immigrazione ed asilo, ma spesso le notizie sono state così generiche e parziali da aumentare la confusione più che aiutare la comprensione. Cosa è accaduto dunque?
Il Consiglio, come previsto dal complesso processo decisionale dell’Unione Europea, ha votato le proprie proposte di modifica a due cruciali testi di riforma legislativa proposti dalla Commissione Europea al Consiglio e al Parlamento (i due co-legislatori): da un lato la più ampia e generale proposta di regolamento per la gestione dell’Immigrazione e dell’asilo (detto Regolamento RAMM) e dall’altro la proposta di revisione della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure per l’esame delle domande di asilo, da modificare in un più stringente Regolamento.
Iniziamo, in questo articolo, con l’esame del Regolamento RAMM, relatore il parlamentare conservatore svedese Tomas Tobé, mentre è relatore ombra per il gruppo Socialisti e Democratici Pietro Bartolo, cui va riconosciuto il merito di avere condotto una decisiva battaglia per migliorare il testo. La finalità della nuova proposta di Regolamento, infine votata dal Parlamento a larga maggioranza in aprile 2023, è quella di “definire una politica comune in materia di asilo, immigrazione e gestione delle frontiere esterne dell’Unione, basata sulla solidarietà e sull’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri, che sia equa nei confronti dei cittadini di Paesi terzi e rispetti pienamente i diritti dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei migranti”.
Il nodo principale da sciogliere è la riforma del Regolamento Dublino III già tentata nella scorsa legislatura europea (allora era relatrice ombra per il gruppo Socialisti e Democratici Elly Schlein) ma fallita per la dura opposizione degli Stati, contrari alle proposte del Parlamento, ma incapaci di trovare tra loro una comune posizione negoziale. Nella proposta di Regolamento attuale non c’è però solo Dublino ma anche la definizione dei criteri per una nuova politica dell’Unione su asilo, immigrazione e gestione delle frontiere esterne della UE. La scelta è quella di dotarsi da parte dell’Unione di “una strategia europea quinquennale di gestione dell’asilo e della migrazione … per garantire l’accesso alle procedure di asilo e il funzionamento e l’attuazione delle politiche in materia di asilo e migrazione a livello dell’Unione”.
I criteri del vigente Regolamento Dublino per determinare il paese competente ad esaminare la domanda di asilo vengono profondamente rivisti: rimane, per un termine massimo di 12 mesi, la competenza ad esaminare la domanda da parte del primo stato membro nel quale il richiedente ha fatto ingresso irregolare, ma vengono introdotte rilevanti novità: innanzitutto diviene competente ad esaminare la domanda di asilo “lo Stato membro con cui il richiedente ha legami significativi” ovvero un precedente soggiorno di almeno due anni in uno stato membro o il possesso di un diploma o di una qualifica rilasciati in uno Stato membro. La nozione di famiglia viene allargata ai figli maggiorenni della coppia, se a carico, per evitare, come accade ora, separazioni forzate. Rimane invece una scelta discrezionale degli stati assumersi o meno la competenza ad esaminare la domanda in caso di ulteriori “legami sociali, conoscenze linguistiche o qualsiasi altro legame significativo”.
La proposta, anche in ragione di un contesto politico meno favorevole a livello dell’Unione, è meno ambiziosa rispetto a quella adottata dallo stesso Parlamento Europeo nel 2018, ma rimane impostata sul tentativo di cambiare l’approccio che ha dominato da oltre vent’anni i continui fallimenti della politica dell’Unione, ovvero la scelta, ottusa e crudele insieme, di ignorare l’esistenza di legami significativi delle persone. Inoltre il richiedente che entra nello spazio europeo in seguito ad operazioni di ricerca e soccorso in mare non sarebbe sottoposto al criterio della competenza dello Stato di primo ingresso, bensì diverrebbe destinatario con priorità di misure di ricollocamento. Infatti la Commissione in caso di “pressione migratoria, anche a seguito di arrivi ricorrenti via mare” su uno o più Stati membri (…) indica per l’anno successivo, il fabbisogno annuale di solidarietà previsto”.
Esso è quantificato per ogni Stato con peso uguale (50%) sulla base della popolazione e del PIL, e consiste principalmente nelle due misure della ricollocazione di richiedenti asilo e, previo consenso degli interessati, di quella dei beneficiari di protezione internazionale da meno di tre anni. A ciò si aggiunge la possibilità di “fornire misure di rafforzamento delle capacità nel settore dell’asilo, dell’accoglienza, del rimpatrio e della reintegrazione e un sostegno operativo, anche attraverso la cooperazione con paesi terzi” (art. 55). Le diverse opzioni non hanno affatto un peso uguale, in quanto il contributo di solidarietà deve consistere per almeno l’80% in ricollocamenti effettivi, adottando così un principio di distribuzione finalizzato a riequilibrare progressivamente gli enormi attuali squilibri nella distribuzione dei richiedenti asilo in Europa.
Come evidenziano ogni anno i dati forniti da Eurostat, la gran parte dei richiedenti asilo si concentrano infatti in un assai ristretto numero di Paesi dell’Unione (non più di 5), mentre la larga maggioranza degli Stati membri continuano, nello scorrere degli anni, ad avere presenze basse o addirittura insignificanti di richiedenti protezione internazionale nei loro territori. Negli Stati con pochi richiedenti asilo i partiti di destra ed estrema destra prosperano politicamente su tale situazione e ostacolano l’avvio di cambiamenti socio-culturali che portino le rispettive società all’accettazione della presenza dei rifugiati come un fatto ordinario delle moderne democrazie; una macchina del consenso fenomenale che non sembra finora dare segni di cedimento.
Si può comprendere dunque perché l’obiettivo della redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo (accompagnata però da robusti aiuti ai paesi privi di rifugiati per costruire adeguati sistemi di asilo ed inclusione sociale) sia una questione politica di enorme rilevanza che non può essere elusa e va ben oltre il diritto d’asilo in sé, ma riguarda il futuro stesso dell’Unione come spazio effettivo di libertà e giustizia. Eppure mi sembra che alla sinistra manchino, in Italia come negli altri Paesi, uomini politici in grado di capirlo.
Come sopra evidenziato, il Parlamento non esclude che una parte, seppur minore, dei fondi di solidarietà possa andare a programmi nei paesi terzi, ma i paletti sono rigorosi allo scopo di evitare che i fondi possano essere usati per finanziare politiche di respingimento e di esternalizzazione delle frontiere. Le misure devono infatti essere indirizzate a: a) migliorare la capacità di asilo e accoglienza nei Paesi terzi; b) promuovere la migrazione legale e la mobilità ben gestita; c) ridurre le vulnerabilità causate dalla tratta di esseri umani e dal contrabbando; d) rafforzare i partenariati internazionali su migrazione, sfollamento forzato e percorsi legali; e) sostenere politiche migratorie efficaci e basate sui diritti umani, ed infine f) sostenere la reintegrazione dei migranti di ritorno.
La proposta legislativa del Consiglio dell’Unione Europea (2020/0279 COD) non punta a un compromesso con la posizione del Parlamento, bensì è un attacco durissimo al co-legislatore. È facile descriverne il contenuto dal momento che tutte le proposte rilevanti contenute nella proposta del Parlamento vengono ripudiate, a partire dal criterio dei legami significativi dei richiedenti asilo che, persino in discontinuità con la stessa Commissione Europea, vengono rifiutati in toto. Nonostante vi sia sul tema un dibattito che dura da quasi dieci anni, la scelta è quella della massima rigidità possibile mentre il Consiglio ritiene di affrontare il problema irrisolto da oltre un decennio, quello dei movimenti secondari dai paesi di primo arrivo agli altri paesi UE, estendendo ulteriormente la già ampia la possibilità di detenere i richiedenti asilo, ovvero disseminando l’Italia, la Grecia, la Polonia ed altri Paesi di strutture detentive per molte decine di migliaia di persone.
Il criterio della competenza del Paese di primo ingresso viene ulteriormente rinforzato prevedendo di allungare il periodo di competenza a riprendersi i richiedenti che si sono allontanati dal proprio territorio a due anni, in caso di pregresso ingresso irregolare, e a 18 mesi in caso l’ingresso iniziale sia stato regolare ma il visto sia scaduto o sia stato revocato. Rimane un principio di programmazione da attuarsi tramite una relazione annuale della Commissione che individui “le cifre annuali per le delocalizzazioni e per i contributi finanziari diretti a livello dell’Unione, che devono essere almeno” di 30.000 trasferimenti di richiedenti asilo e di 600 milioni di euro in contributi finanziari diretti.
Attenzione però a non cadere nel tranello comunicativo: la teorica previsione di possibili ricollocazioni è poco più di un gioco di parole, in quanto la ricollocazione non è mai obbligatoria e gli Stati possono sempre barattarla con una “solidarietà finanziaria” verso lo stato membro che ha una situazione di pressione migratoria oppure con “contributi finanziari (…) per progetti relativi al settore della migrazione, della gestione delle frontiere e dell’asilo o per progetti nei Paesi terzi che possono avere un impatto diretto sui flussi alle frontiere esterne o possono migliorare i sistemi di asilo”.
I Paesi che non lo vogliono fare dunque potranno rifiutare di ricollocare anche un solo richiedente asilo. La direzione di fondo della posizione del Consiglio è dunque quella di investire risorse massicce nei paesi terzi per bloccare i richiedenti asilo e farlo con ogni mezzo, senza però nessuno dei controlli e delle limitazioni previste dal Parlamento. Difficile immaginare uno scenario più duro e violento che comprime i diritti fondamentali delle persone, cristallizza i disequilibri attuali nell’Unione e penalizza i paesi di primo ingresso come l’Italia.
Eppure molti opinionisti, e commentatori di testi che forse non hanno mai letto, hanno parlato di una proposta che finalmente produce un avanzamento del sistema asilo nella UE e che è anche vantaggiosa per l’Italia, inneggiando persino a una vittoria per il nostro Paese e a un isolamento dei paesi del gruppo di Visegrad; nell’abile gioco di specchi che è avvenuto essi non hanno colto che chi ha votato contro la proposta è il vero vincitore di questa partita avendo raggiunto due obiettivi in una volta sola: niente ricollocazioni e nuova benzina per continuare la sua propaganda contro le asserite imposizioni dell’Europa.
via: https://www.unita.it/2023/06/13/regolamento-ue-su-immigrazione-e-asilo-politico-solo-schiaffi-allitalia/
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