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Lavoro, salute, casa, immigrazione: quali diritti? Continua il viaggio lungo le ‘periferie morali’ del nostro Paese

L’indagine lungo le strade delle ‘periferie morali’ del nostro Paese  -in attesa del Meeting di Rimini edizione 2014 che, dal 24 al 30 agosto, dibatterà «Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo»-, oggi punta l’attenzione su quattro aspetti sociali ed economici: il diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto alla casa e i diritti degli immigrati che arrivano in Italia, pensando di approdare in una società dove il concetto di tutela è ormai consolidato.

Di solito si tende a sottovalutare i diritti sociali ed economici, che pure sono alla base di una vita libera e dignitosa.
“In Italia lo Stato domina un po’ tutti i diritti, invadendo ogni campo della nostra vita con un profluvio normativo che non ha eguali rispetto ad altri Paesi occidentali. E’ uno Stato profondamente illiberale, perché pretende di regolamentare ogni aspetto della nostra vita”.L’incipit dell’ avvocato Marcello Adriano Mazzola, specializzato in diritto della salute, in particolare nei settori di diritto civile e diritto amministrativo, apre uno squarcio sul sistema della tutela dei diritti. “Il diritto al lavoro, che è un previsto dalla nostra Carta Costituzionale”,  come ci spiega Mazzola,  “non è un diritto ad avere un lavoro così come alcuni lo intendono, il cittadino medio invoca il diritto al lavoro come se lo Stato dovesse essere il proprio datore di lavoro, non è stato inteso così dai nostri Padri Costituenti, ma è il diritto di ogni cittadino verso cui lo Stato si deve attivare per realizzare le condizioni per trovare un lavoro e per mantenerlo negli anni”.

Questa è la regola scritta, ma cosa accade realmente? “Dinanzi ad uno Stato fallimentare, che non sa utilizzare né la leva del fisco né sa spendere con diligenza i propri soldi”, continua Adriano Mazzola,  “si  compromette questo diritto, perché al di là delle trasformazioni economiche che l’Italia subisce anche per effetto delle congiunture esterne alla propria politica, lo Stato italiano non utilizza adeguatamente tutti gli strumenti per realizzare le condizioni per tutelare il diritto al lavoro”. E’ chiaro a tutti che l’accesso al lavoro è diventato il centro della politica dell’attuale Governo, nonché leva fondamentale per far ripartire un’economia decisamente stagnante. “Il punto centrale, devo dire osservato da molti economisti, è che se non si taglia il costo del lavoro in Italia, che è pari più o meno al 50% di quanto versa un datore di lavoro” non ci sono le basi  “per creare occupazione da un lato, mentre dall’altro viene inseguita costantemente la flessibilità, richiamando totem come l’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, e spesso si fanno anche battaglie demagogiche che però non mirano alla sostanza”.

Ma se il lavoro è reso inaccessibile, o quasi, anche per quanto riguarda la tutela della salute la situazione non è certamente rosea. “Oggi attendere di poter effettuare esami e controlli per un male grave a distanza di oltre un anno, certifica quanto tale diritto sia irrealizzato”, afferma Mazzola, “E’ evidente come la conseguenza di ciò sia lo sperpero di risorse pubbliche all’interno di una sanità a gestione regionale e lottizzata secondo avidi interessi politici”. Questa è una visione d’insieme, ma se andiamo nel particolare, la situazione – forse – è anche peggio.

“La panoramica è devastante”. Queste le parole diAlessandro Compagno, presidente dell’associazione Diritto alla Salute, punto di riferimento  per il territorio di Frosinone. “Associazioni come la nostra operano direttamente sul territorio. E’ importante la parte organizzativa e istituzionale, ma lo è altrettanto quando il diritto alla salute si deve applicare in maniera concreta nel territorio di riferimento”. Qui il problema è duplice: da una parte gli insediamenti industriali nella Valle del Sacco hanno portato a miglioramenti da un punto di vista economico, ma dall’altra, l’inquinamento del fiume laziale, ha portato ad un netto peggioramento della salute.

“Adesso scontiamo una politica non avveduta dal punto di vista della programmazione che ha pensato solo al benessere economico.  La crisi a livello regionale, oltretutto, non assicura più l’assistenza che dovrebbe assicurare ai cittadini. Constatiamo giorno per giorno gli sprechi nell’ambito della Sanità”. Cosa comporta? “Ad esempio nella nostra Asl c’è stato un ridimensionamento dei posti letti – a causa della chiusura di alcuni ospedali – che ci pone al di sotto degli standard LEA (livelli essenziali di assistenza). Il problema sono le situazioni di emergenza”,continua Compagno.

Non funziona la sanità ospedaliera, ma nemmeno quella territoriale sotto l’aspetto della prevenzione, soprattutto in un territorio come il nostro devastato dall’inquinamento. Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, credo che non si tratti più di risanare il bilancio pubblico, molto dipenderà dalle quote di mercato dei gruppi finanziari e dalle Assicurazioni, che stanno cercando di occupare la parte che riguarda la Sanità. Fondamentalmente parlo di un’emergenza a livello umanitario. Lo stato taglia le fasce più deboli della popolazione. Diventa un fattore di ricchezza personale. Noi, come Associazione, ricorreremo al tribunale internazionale per far valere le nostre ragioni”.

 

L’avvocato Mazzola aggiunge che “probabilmente l’Italia questo percorso dovrà farlo. Va detto che la Sanità italiana, almeno dalle analisi di autorevoli studiosi e comparatisti, è considerata una buona Sanità. Il problema, che è una delle risposte al diritto costituzionale alla tutela della salute, è che all’interno della Sanità gestita dalle Regioni abbiamo osservato in questi anni ad uno spreco abnorme con situazioni regionali di eccellenza e situazioni regionali mediocri. Io non so se e quando arriveremo alle polizze integrative per coprire dei costi inevitabili per il cittadino medio. Questo processo, ancorché non obbligatorio di ricorso ad un’integrazione privata, lentamente nei fatti si sta realizzando, e quindi anche il diritto alla tutela della salute si sta lentamente riducendo”.

 

Riepilogando: salute e lavoro vacillano.

 

Se ci addentriamo nella problematica dell’accesso alle case popolari, tramite graduatoria, scopriamo che la situazione è uguale a quelle descritte precedentemente. “E’ un fenomeno che si è consolidato in questi ultimi anni e che ha avuto un effetto devastante a causa della crisi, la disoccupazione ha ulteriormente aggravato la sofferenza abitativa strutturale”. Come spiega Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini“Di solito viene chiamata emergenza abitativa, ma non ci piace il termine emergenza, perché lascerebbe intendere un evento straordinario, mentre qui siamo di fronte a una situazione strutturale e andrebbe affrontato tramite  l’aumento dell’offerta degli alloggi pubblici da una parte, dall’altra tramite una diminuzione degli affitti privati”.

 

“Abbiamo individuato un indice della sofferenza abitativa mettendo in relazione il numero degli sfratti emessi con la popolazione residente”, afferma De Cesaris. “Risulta che la città nel 2013, che ha avuto il rapporto peggiore tra il numero degli sfratti emessi e popolazione residente è Rimini, l’anno scorso è stata Prato. In particolare le città del centro nord dove è più forte il processo di deindustrializzazione. La città che ha il maggior numero di sfratti, in assoluto, per morosità, è Roma, ma in relazione alla popolazione residente Rimini ha più sfratti di Roma”. Facendo un’istantanea del nostro Paese ne risulta che ci sono “circa 700mila domande per una casa popolare. Queste non possono essere evase da parte dei Comuni. Ci sono 30/40mila case popolari che non vengono assegnate perché avrebbero necessità di interventi di ristrutturazione”. E come si stanno comportando le Istituzioni? “Lo Stato non sta dando nessuna risposta, e dal nostro punto di vista anche negative. Nel senso che è stato varato dal Governo un procedimento che si chiama “Misure contro il disagio abitativo”, ampollosamente chiamato Piano Casa Lupi. In questi anni ne abbiamo visti molti di provvedimenti del genere, ma nessuno di questi ha mai affrontato il problema di come aumentare gli alloggi sociali in Italia e come si interviene per diminuire gli affitti privati”.

 

In uno stato di emergenza abitativa gli affitti che importanza hanno? “Sono l’effetto del libero mercato. E’ un rapporto tra due parti che non hanno la stessa forza contrattuale, sostanzialmente è il monopolio della rendita immobiliare che fa da padrone. Il dato dell’incremento degli sfratti per morosità dimostra che sostanzialmente c’è un’offerta che non corrisponde alla realtà”. De Cesaris spiega che “le politiche dei vari Governi hanno puntato sulle politiche di sussidi piuttosto che intervenire a monte attraverso l’offerta di alloggi popolari, che sarebbe una risposta strutturale. E’ una questione di scelta politica”. La soluzione sarebbe “penalizzare lo sfitto, eliminare il libero mercato degli affitti, puntare sugli sgravi fiscali compatibili con il reddito. Sul tema degli sfratti non c’è salvaguardia per le famiglie e soprattutto per i minori, alla faccia delle ideologie familiste nei discorsi pubblici”.

 

Questo è il quadro per quanto riguarda i cittadini italiani, ma se tocchiamo il tema immigrazione entriamo in un limbo da cui sembra difficile, o quasi impossibile, uscirne. Immigrazione e lavoro nero, due temi connessi indissolubilmente tra di loro. “Il primo problema che incontrano gli immigrati è connesso al lavoro e al permesso di soggiorno”, ci spiega l’Avvocato Emmanuela Bertucci  dell’Aduc, “questa è una situazione decisamente cronica dell’Italia, che dagli anni 90 fino ad oggi, quindi dall’inizio dell’immigrazione più massiva, è un aspetto di cui non ci si è occupati mai abbastanza. Nel senso che, fondamentalmente, i tantissimi clandestini che sono in Italia sono presenti con la consapevolezza delle autorità italiane, senza né che ci sia una politica seria relativa ad evitare gli ingressi, né una politica seria per la regolarizzazione di queste presenze”.L’avvocato Bertucci continua spiegando che ci sono “tantissime persone che vorrebbero avere la possibilità di vivere legalmente nel Paese, poiché non hanno il permesso di soggiorno non possono trovare lavoro e in questo modo si crea una sorta di circolo vizioso, che di fatto alimenta il lavoro nero, senza che ci sia un reale interesse da parte delle autorità, da parte del Governo nazionale e, a cascata da parte delle Regioni e degli Enti Locali, affinché questa situazione si modifichi”.

 

Ma il tema dell’immigrazione abbraccia anche altre tematiche, “complice anche la crisi economica”, continua la Bertucci,  “le problematiche negli ultimi decenni si sono spostate. Il boom dell’ingresso migratorio c’è stato nel decennio precedente, e lì che sino create le cronicità. Ora le problematiche si stanno spostando sulle tematiche previdenziali, assistenziali: il concetto è “a chi devo cosa”. Nel momento in cui ci sono questi cittadini, che sono regolarizzati, viene fuori il problema a chi devo dare le prestazioni previdenziali e sociali, anche in questo le politiche che sono state fatte in tema di integrazione sono scarsissime. Nel momento in cui parli con qualsiasi cittadino italiano medio, ad esempio di edilizia pubblica, poiché lo straniero vive in Italia regolarmente, lavora e quindi ha accesso alle case pubbliche, questo viene visto come un furto, la sottrazione di un qualcosa che invece dovrebbe essere destinata ai cittadini italiani. Purtroppo non abbiamo ancora una mentalità di coesione. Se parliamo di un sentore d’integrazione e uguaglianza tra il diritto dello straniero e i diritti degli italiani il popolo italiano oggi non ha questo sentore”.

 

“Se lo Stato non mette sia i datori di lavoro, che vogliono davvero assumere le persone, sia i lavoratori, nelle condizioni affinché queste regolarizzazioni avvengano, di fatto il mercato del lavoro nero aumenta e dietro a ciò c’è una consapevolezza enorme, perché se a fronte di una regolarizzazione o di una sanatoria, arrivano 200/300mila domande lo Stato sa perfettamente che ci sono 200/300mila persone straniere che stanno chiedendo di essere regolarizzate nella propria posizione lavorativa e che per qualche cavillo non lo otterranno”.

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fonte: lindro.it






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