Immigrazione: Cie come ultima frontiera, un film li racconta
Proiezione alla Camera.’Ridurre permanenza e controllo gestione’Storie scomode, volti giovani ma già scavati, sbarre alte a formare le pareti di una gabbia, e qualcuno che dice ‘”questa non è accoglienza, è sofferenza”.
Sono gli interni dimenticati dei Cie, Centri di identificazione ed espulsione, in cui le telecamere di Alessio Genevose e Raffaella Cosentino sono entrate per girare il documentario ‘EU 013 l’Ultima Frontiera’, proiettato oggi in un incontro pubblico alla Camera.
Girato all’aeroporto di Fiumicino, al porto di Ancona e nei Cie di Roma, Bari e Trapani, il film è il primo a documentare – grazie alla collaborazione del ministero dell’Interno – la vita nei Centri, dove ogni anno circa 8mila persone restano per un periodo che arriva fino a 18 mesi, in detenzione amministrativa.
Immagini inedite che mostrano i retroscena del controllo delle frontiere italiane e la vita quotidiana nei Cie, e raccontano da sole, insieme alle testimonianze dei reclusi, il vuoto dell’attesa, il nulla in cui trascorrono i mesi, l’esasperazione che sfocia in violenza o lo sconforto che degenera in depressione o in tentativi di suicidio. Oppure in clamorosi gesti di protesta, come le bocche cucite al centro romano di Ponte Galeria. “Democrazia e diritti umani sono solo parole”, denuncia uno degli irregolari intervistati, “voi avete paura”, “ora la guerra è tra ricchi e poveri, tra il nord e il sud”. I Cie come ultima frontiera, appunto.
Istituiti come Ctp (Centri di permanenza temporanea e accoglienza) con la legge Turco-Napolitano nel 1998, per ospitarvi gli irregolari per un massimo di 30 giorni, queste strutture hanno successivamente visto un allungamento dei tempi di permanenza, prima a due mesi con la Bossi-Fini e poi fino a 180 giorni, e l’accentuarsi del loro carattere detentivo.
Come strumenti per arginare l’immigrazione clandestina i Cie hanno però “clamorosamente fallito”, ha detto Alberto Barbieri, dell’associazione Medici per i diritti umani, perchè “sulle 6 mila persone transitate nel 2013, solo il 45% sono state poi effettivivamente espulse”. Quanto ai diritti umani, ha osservato, “si tratta di luoghi congenitamente incapaci di tutelarli – ha aggiunto – pronti ad esplodere come polveriere”, e sono anche zone di “extraterritorialità sanitaria”, dove anche un parere medico dell’Asl locale può essere disatteso. A finirvi sono ex detenuti, migranti appena sbarcati o altri cui il permesso di soggiorno è scaduto, minori e richiedenti asilo. La durata della permanenza non cambierà l’esito finale della loro vicenda, ma il loro mantenimento nei Cie, secondo le stime riportate dai due autori, è di 55 milioni di euro l’anno.
La stessa Corte dei conti del resto – ricordano i promotori della campagna ‘LasciateCientrare’ – rilevano una mancanza di trasparenza sui costi e le modalità di assegnazione degli appalti di gestione. “Servono una commissione di inchiesta della Camera sulla gestione dei centri e un decreto urgente per ridurre a due mesi i tempi di permanenza”, ha osservato il deputato del Pd Khalid Chaouki, intervenuto alla proiezione con Celeste Costantino (Sel) e Tommaso Currò (M5S). Inoltre – ha proseguito il parlamentare italo-marocchino che nei mesi scorsi si è chiuso nel centro di Lampedusa per ottenerne lo sgombero in tempi brevi – bisogna cercare misure alternative al Cie”. Non solo per i richiedenti asilo, ha precisato, ma per esempio anche per chi abbia già familiari in Italia o abbia perso il permesso di soggiorno insieme al lavoro. (ANSAmed).
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