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Cittadinanza, le cartoline-appello dei figli di immigrati: “Cambiateci la vita”

CHIARA RIGHETTI – repubblica.it – Un anno fa la Camera dava il via libera alla riforma sui diritti. Ora è ferma al SenatoROMA. Hanno frugato nei cassetti a caccia delle foto ingiallite del primo giorno di scuola, ci hanno appiccicato con Photoshop un francobollo col tricolore. Destinatari delle insolite cartoline: senatori e senatrici della Repubblica. Il testo recita: “Cambiateci la vita”. I mittenti sono decine di ragazzi di origine straniera, nati in Italia o arrivati da piccolissimi, e stanchi di aspettare per godere pieni diritti.

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Il 13 ottobre 2015 (con 310 voti favorevoli, il no della Lega e l’astensione dei 5 Stelle), la Camera dava il via libera alla riforma che consente ai figli di immigrati nati o cresciuti qui di diventare italiani. Da allora il testo giace nei cassetti del Senato e sul suo futuro già pesano oltre 7mila emendamenti. Per questo domani, a un anno esatto da quello storico sì, gli “italiani senza cittadinanza” scenderanno in piazza al Pantheon e davanti alle prefetture di molte città, da Padova a Palermo, da Bologna a Napoli. Con un lenzuolo bianco per testimoniare che “ci sentiamo cittadini invisibili in uno Stato che non ci riconosce”. “Siamo italiani, con una particolarità: non abbiamo un documento che lo dimostri – scrivono ai senatori – Abbiamo frequentato la scuola con i vostri figli o nipoti; abbiamo gli stessi sogni, le stesse idee, le stesse aspirazioni”.

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L’attuale legge sulla cittadinanza è stata approvata nel 1992, soprattutto con l’obiettivo di favorire il rientro dei discendenti di italiani emigrati in Sud America all’inizio del secolo scorso. Ma oggi il contesto è profondamente cambiato. I ragazzi figli di immigrati sono più di un milione, e tre su quattro sono nati qui. Frequentano scuole, palestre, università; sono italiani in tutto, ma non per la legge.

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“È triste non poter votare al referendum”, confessa Mohamed Rmaily, trevigiano da 23 dei suoi 25 anni, laureando in Legge a Padova. “A chi mi chiede perché voglio diventare italiano, rispondo: perché lo sono. Me ne accorgo all’estero, quando mi ribello agli stereotipi sul nostro Paese, e vorrei ribattere: non siamo solo pizza e mandolino”. Le foto che hanno scelto sono un condensato del Belpaese. C’è Younes in posa con il compagno di banco al porto di Napoli; Pablo in prima fila alla recita di Natale; Chouaib, fiero con la sua divisa dell’alberghiero. Scrive Arber Agalliu, San Giovanni Valdarno: “Mi sono dilettato a cucinare lasagne, seguire il calcio la domenica, parlare gesticolando, imprecare alla guida, bere il caffè al bancone. Ora è tempo che l’Italia mi permetta di votare e partecipare ai concorsi come i miei compagni di classe”.

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“Sono convinta della bontà delle loro ragioni – assicura la senatrice Doris Lo Moro, relatrice della riforma a Palazzo Madama – In questa fase il dibattito politico è molto polarizzato, ma all’Ufficio di presidenza porrò il problema con forza. Questi ragazzi hanno diritto di sapere quando ci occuperemo di loro”. “Anche perché ormai io sono l’unico extracomunitario rimasto in famiglia”, replica a distanza Rmaily. “Mio padre ha ottenuto la cittadinanza quando io avevo 18 anni e una settimana… solo pochi giorni prima, e l’avrebbe trasmessa anche a me. Invece eccomi qui alle prese col rinnovo del permesso di soggiorno”.

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“Questa legge non è la migliore possibile, ma i numeri per approvarla ci sono. Il tema è la volontà politica”, esorta Filippo Miraglia, della campagna “L’Italia sono anch’io”, che si batte da anni per la riforma della cittadinanza con il supporto di 22 organizzazioni della società civile, dai sindacati all’Anci, dalla Caritas a Sant’Egidio. “Saremo anche noi in piazza domani per risvegliare le coscienze. Vogliamo portare a casa il risultato entro l’anno, o il rischio è ricominciare da zero”.

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Appuntamento alle 15 al Pantheon, dunque, per danzare con i “cittadini fantasma” sulle coreografie del ballerino di Zelig Sonny Olumati, nato in Italia 27 anni fa. Ecco cosa scrive sulla sua cartolina: “Eccomi lì, un sorriso a 32 denti e accanto i miei compagni. Non avevo idea dell’universo burocratico che ci divideva. Sono passati un po’ di anni e per la legge ancora non sono italiano. Quanto ancora dovremo aspettare?”.






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