L’immigrazione la piazza, i nodi
brescia.corriere.it – di Massimo Tedeschi – Da più parti, all’indomani di recenti gesta sanguinose del terrorismo islamico, si è invocata una reazione dell’Islam «moderato» di casa nostra, secondo modalità tipiche del nostro mondo: ad esempio con manifestazioni di piazza o cortei che esecrassero attentati, agguati, rapimenti. Nulla di tutto ciò s’è verificato, non – almeno – secondo le attese dei commentatori. In compenso il 28 marzo fedeli musulmani, e immigrati in gran parte di fede islamica, sono scesi in piazza per due iniziative di diverso segno. La prima ha visto alcuni esponenti del Centro culturale islamico schierarsi («a titolo personale», si sono affrettati a precisare) in piazza Paolo VI a fianco delle «Sentinelle in piedi» (nuovo movimento di cattolici conservatori) per dire la propria contrarietà alla legislazione che si va profilando per il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, incluse quelle omosessuali. Una scelta di campo che equivale a voltare le spalle alle ragioni e alla cultura di quella gauche così impegnata a fianco degli immigrati, e a rimarcare la visione islamica della società e della famiglia, e dunque il contributo almeno di una parte del mondo musulmano al dibattito sui diritti civili che ci accompagnerà nei prossimi anni. La seconda iniziativa di piazza, questa invece imponente, è stata la manifestazione degli immigrati che, su iniziativa della Cgil, hanno posto il problema della regolarizzazione vecchia e nuova di migliaia di stranieri residenti a Brescia. Quest’ultima si è svolta, fortunatamente, senza i temuti incidenti, il che costituisce una confortante prova di maturità per gli organizzatori, per i manifestanti, per chi ha gestito l’ordine pubblico. Certo, la conclusione di ieri è giunta dopo una settimana di tensione che lascia il segno, e qualcosa dovrebbe insegnare per il futuro. Il modo ruvido con cui le forze dell’ordine (in contatto costante con la Loggia) hanno impedito nei giorni scorsi l’accesso dei manifestanti a pezzi strategici della città è espressivo di un dato di cui tutti dovrebbero tenere conto: le istituzioni, ma prima ancora la città e il livello di convivenza raggiunto fra italiani e stranieri, non riuscirebbero a reggere – oggi – forme di protesta del passato, siano esse l’occupazione della gru, i bivacchi permanenti o i materassi ammucchiati in strada. Il secondo punto riguarda la «presa» che la protesta ha nel mondo composito e variegato dell’immigrazione: ieri la manifestazione della Camera del lavoro ha coinvolto una platea folta, variegata e pacifica di immigrati.
Non è stato sempre così, in settimana i manifestanti hanno scelto come luogo simbolo della protesta largo Formentone, quasi che il Carmine offrisse alle loro spalle una retrovia fertile di sostegno e di rinforzi. Così non è parso, e l’impressione di un isolamento dei manifestanti permanenti è difficile da cancellare. La sorte capitata ai più agitati di loro (3 immigrati portati al centro di espulsione di Bari, uno accompagnato alla frontiera, uno col foglio di via e un altro arrestato ma rilasciato in attesa di processo) accresce poi la responsabilità morale di chi li ha guidati all’assalto dei caschi blu della polizia. Al netto di tutto ciò, Brescia s’è ritrovata ancora una volta epicentro del problema-immigrazione, mettendo a nudo due questioni. La prima è il numero abnorme di respingimenti nel 2012. Quello della prefettura di Brescia fu rigoroso rispetto delle norme o vendicativo giro di vite? Forse entrambe le cose, a giudicare dalle sentenze del Tar che – come ha accertato il Corriere – sta salomonicamente accogliendo metà dei ricorsi presentati, e bocciando l’altra metà. Ma poi c’è il problema, emergente, degli immigrati che rischiano di finire in clandestinità per effetto della crisi e della fine della durata degli ammortizzatori sociali: un dato umanamente lacerante. Saldare il permesso di soggiorno al reddito e alla disponibilità di un lavoro è cosa ovvia in tempo di espansione economica e crescita occupazionale, ma diviene discrimine spietato quando padri e madri di famiglia presenti in Italia da anni perdono temporaneamente il lavoro nel Paese in cui hanno costruito i loro nuovi progetti di vita, e rischiano di diventare cittadini usa-e-getta. Uno snodo drammatico, che giustamente il sindaco Del Bono ha consegnato nelle mani dei parlamentari bresciani. Tutto ciò, però, ha un effetto distorto e induce a continuare a percepire l’immigrazione – fra sbarchi nel Sud e cortei nel Nord – come un’emergenza anziché come un dato strutturale, come un’eccezione passeggera anziché come una rivoluzione endemica che ha cambiato alla radice la nostra società. Milano ha inaugurato l’altro giorno il museo delle culture. Brescia, delle diverse culture, è crogiolo e frontiera, luogo di confronto e incontro. Il futuro passa di qui. Che ci piaccia oppure no.
mtedeschi@rcs.it
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