Carceri, i diritti violati e le iniquità di qul 32 per cento di detenuti stranieri
CARMINE SAVIANO – repubblica.it – L’associazione Antigone illustra la situazione dei detenuti immigrati nel nostro Paese. Dati, cifre, analisi delle norme vigenti. E alcune proposte che potrebbero rendere l’Italia un paese all’altezza della tradizione della sua giurisprudenza. “Detenuti stranieri in Italia”, il libro pubblicato dalle Edizioni Scientifiche italiane frutto di una ricerca che Antigone ha svolto insieme alla Open Society Foundations
ROMA – Per la prima volta si può osservare con chiarezza uno di quei luoghi dove in Italia emerge la contraddizione tra giustizia e diritto. Dove l’assenza di capacità organizzativa da parte dello Stato rischia di creare dei vuoti di diritto che mettono a repentaglio prerogative inviolabili di migliaia di persone. L’associazione Antigone, grazie al lavoro di Patrizio Gonnella, il suo presidente, illumina la situazione dei detenuti immigrati nel nostro Paese. Dati, cifre, analisi delle norme vigenti. E alcune proposte che potrebbero rendere l’Italia un paese all’altezza della tradizione della sua giurisprudenza.
Partiamo con i dati. Al 31 luglio del 2014 i detenuti immigrati sono passati a 17.423 unità, il 32% del totale della popolazione carceraria. E il rilevamento di un miglioramento statistico – in pochi anni la percentuale è diminuita di cinque punti – non può cancellare l’analisi. “Ciò è avvenuto più per caso che non per una strategia penale diretta a redistribuire il peso delle iniquità sociali. Di fronte al grave problema del sovraffollamento non si poteva che intervenire nei confronti di quelle categorie di persone detenute che nel tempo, loro malgrado, hanno contribuito a determinarlo”, scrive Gonnella in “Detenuti stranieri in Italia”, il libro pubblicato dalle Edizioni Scientifiche italiane frutto di una ricerca che Antigone ha svolto insieme alla Open Society Foundations. Testo che sarà presentato oggi a Roma e che Repubblica. it ha potuto leggere in anteprima.
Un territorio instabile. E si tratta di un viaggio all’interno di un territorio giuridico paradossalmente instabile. Perché il “caso” non può essere contemplato quando si tratta di diritti. Gonnella è molto chiaro. “Quando ci si affida il caso e non a una strategia il rischio è che in breve tempo si torni al passato. Così da ottobre 2014 si sentono le sirene di nuove campagne contro gli immigrati che potrebbero portare a un aumento generale della popolazione reclusa”. E a fronte di questo pericolo, l’unica soluzione è una “rivoluzione organizzativa che tenga conto di come sia cambiata l’utenza penitenziaria e ridisegni il tutto alla luce della presenza non minoritaria dello straniero in carcere”.
Il rischio della recidiva. Il punto è prevedere che lo staff penitenziario sia all’altezza delle sfide poste dall’accoglienza degli stranieri. Che va fatta anche in carcere. Ancora Gonnella: “L’enunciazione di principi anti- discriminatori, per essere effettiva, richiederebbe ulteriori modifiche legislative, organizzative e operative. Ogni carcere deve avere un numero sufficiente di mediatori culturali e interpreti pagati dallo Stato e inseriti a pieno titolo nella vita penitenziaria”. Tutto per rendere il sistema non punitivo ma indirizzato sulla strada del reinserimento sociale anche dello straniero che delinque. Che se viene lasciato solo a se stesso in carcere, rischi di ritornare a commettere gli stessi reati per cui è stato già condannato.
Dopo l’analisi, le proposte. Che Antigone articola in trentatré punti che potrebbero andare a comporre uno Statuto dei diritti dei detenuti stranieri in Italia. Quasi un suggerimento alla politica. Si parte dalla “cancellazione dell’espulsione come misura di sicurezza fino all’inserimento nel sistema procedurale italiano del principio del favor rei, secondo il quale “nessuno deve ? essere soggetto in Italia a una sanzione o una misura alternativa più afflittiva rispetto a quella ? del Paese di provenienza”. ? Poi la recezione della Raccomandazione del 2012 del Consiglio d’Europa sui detenuti stranieri.
Per farli sentire meno soli. Poi il lavoro “culturale” da organizzare negli istituti di pena. Dai corsi in cui si portano a reciproca conoscenza le diverse “culture nazionali” fino alle norme che esplicitino come “in materia di vestiario ed igiene vanno rispettate le identità culturali e religiose” e che facciano che all’interno del carcere sia possibile acquistare “cibi etnici”. Poi la liberalizzazione della corrispondenza telefonica e l’uso di internet: dalla comunicazione via skype fino alla possibilità di inviare mail ai parenti lontani. Poi le biblioteche, lo sport, l’accelerazione nelle pratiche per la concessione del visto. Per uno Stato che faccia sentire meno soli i migranti che ospita anche nelle proprie strutture carcerarie.
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