Profughi, i senza casa in tutto il mondo sono ormai più di 33 milioni di persone
di VALERIA FRASCHETTI – I dati raccolti nel rapporto Global overview 2014 del Norwegian Refugee Council . Solo lo scorso anno sono state 8,2 milioni (1,6 milioni in più rispetto al 2012) le persone cacciate con la forza dalle proprie città, in fuga dalle bombe o dalle persecuzioni. In Siria da tre anni succede a ritmi vertiginosi: ogni 60 secondi c’è una famiglia che entra a far parte dei cosiddetti “IDP”, Internally Diplaced PeopleROMA – Nel vasto inventario delle sciagure provocate da guerre e violenze, la perdita della propria casa non è la più visibile. Eppure è una delle più diffuse, registra un tasso di crescita vertiginoso e riguarda oltre 33,3 milioni di persone nel mondo. Un record storico: neanche all’inizio degli anni Novanta, con gli esodi di massa provocati dai conflitti balcanici e dal genocidio in Ruanda, la conta degli sfollati interni aveva raggiunto cifre tanto allarmanti. A dirlo è il Norwegian Refugee Council che, con i dati raccolti nel rapporto Global overview 2014, sostiene che solo lo scorso anno sono state 8,2 milioni (1,6 milioni in più rispetto al 2012) le persone cacciate con la forza dalle proprie città, costrette a lasciare le proprie abitazioni per via di bombe o persecuzioni.
Gli “stranieri in patria” siriani. In Siria succede a ritmi vertiginosi: ogni 60 secondi. Ogni minuto c’è una famiglia che entra a far parte dei cosiddetti “IDP”,Internally Diplaced People. Stranieri in patria, sfrattati di guerra. Come gli altri 6,5 milioni che già vivono questa condizione a causa della guerra iniziata tre anni fa. Lo scorso anno i siriani che hanno fatto il loro ingresso nella triste categoria hanno rappresentato il 43 per cento del totale nel mondo, una stragrande maggioranza. 9500 famiglie al giorno, per le quali la fuga non è stata sempre sinonimo di salvezza. “Il rapporto rivela spaventose condizioni di vita all’interno della Siria, teatro della più estesa crisi di sfollati interni a livello globale”, ha spiegato Jan Egeland, segretario generale del Consiglio norvegese per i rifugiati. “Non solo i gruppi armati controllano le zone in cui si trovano i campi degli sfollati interni, ma le stesse strutture dei campi sono mal gestite, forniscono accoglienza e servizi igienico-sanitari inadeguati e aiuti limitati”.
All’elenco si aggiunge la Nigeria. Dei 33 milioni di sfollati interni nel mondo, due terzi sono concentrati in appena cinque Paesi. Siria, Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Nigeria. Quest’ultima è la new entry nelle statistiche raccolte dal centro studi dell’organizzazione scandinava. E la causa si chiama soprattutto Boko Haram. Il gruppo estremista islamico, che da aprile trattiene le 200 studentesse rapite e questa settimana ha ucciso un centinaio di persone con due bombe nella città di Jos, causa ferite altrettanto drammatiche ma con meno eco mediatica. Come i 300 mila nigeriani che lo scorso anno hanno abbandonato le proprie case, per scampare alle brutalità di Boko Haram o agli scontri tra questo e l’esercito. Altri 170mila nigeriani, invece, hanno lasciato i loro villaggi fuggendo dalle violenze interreligiose che spesso divampano nel Paese.
La Repubblica Centrafricana e il Sud Sudan. Altri crisi politiche che hanno fatto registrare un picco di sfollati interni sono, in particolare, quella in Repubblica Centroafricana, quasi un milione di profughi, e quella in Sud Sudan, dove i dissapori etnici hanno spinto 380mila persone a cercarsi una nuova casa nel 2013 e oltre 600mila solo negli ultimi mesi. Se le cifre di questi Paesi sono drammatiche, lo è forse ancora di più il fatto che la condizione di sfollato è spesso tutt’altro che temporanea. 17 anni in media: il tempo sufficiente affinché un bambino diventi adulto senza aver mai provato il piacere di vivere una casa propria, vera. Un dato che dovrebbe costringere a riflettere, come invita a fare il Consiglio norvegese per i rifugiati: “Il drammatico aumento degli sfollati e il fatto che a livello globale le persone vivano in questa condizione per un tempo medio di 17 anni, suggeriscono che nel modo in cui rispondiamo e affrontiamo questa questione c’è qualcosa di terribilmente sbagliato”.
FONTE: http://www.repubblica.it/solidarieta/profughi/2014/05/22/news/fraschetti-86883081/
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