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Dubbi sulla strage di Steccato di Cutro

Non so quanto tempo ancora ci vorrà prima che, guardando il mare, non si presentino più alla mente le immagini del naufragio di Steccato di Cutro. Chi ha conosciuto il mare in tempesta, vivendo in prima persona i momenti in cui anche l’ateo diventa fervente religioso, viene inevitabilmente trasportato con la mente a bordo di quell’imbarcazione stracolma di passeggeri che nel buio pesto salta sulle onde, sballottata da una parte e dall’altra, e ad ogni salto ascolta l’urlo di spavento che si leva dalle madri che stringono al petto i figli mentre i padri abbracciano i loro cari cercando di trattenerli al loro posto. Sono anche urla di dolore per i coccigi, i bacini e le costole che sbattono ripetutamente contro il pagliolo mentre l’onda di vomito che sciacqua il legno li bagna tutti. Ore e ore in quel marasma col timore che ogni calo dei giri del motore non sia una manovra per contrastare i marosi, ma l’ultimo segno di vitalità della barca, che ogni beccheggio sia quello che porterà la poppa a fondo, che ogni rollio getti tutti in mare, che la prossima onda sarà quella che capovolgerà lo scafo e alla fine, quando già dalla plancia è stato riferito che si vedono le luci dell’Italia e il cuore si apre alla speranza, ecco lo schianto, improvviso come una scudisciata, un boato deflagrante, l’esplosione contro la secca che spezza chiglia e spine dorsali, disintegra fasciame e famiglie e scaraventa tutti nel gelo delle onde invernali che si accavallano sui naufraghi. Finiscono sott’acqua le bocche che anelano all’aria ma non avendo mai visto il mare, non sanno come fare a tornare in superficie a respirare. Respirare aria mista ad acqua salata come c’è sulla superficie battuta dal vento. Respirare inghiottendo acqua mentre i piedi cercano un appiglio su poi poggiarsi per darsi una spinta verso l’alto, verso il cielo, verso l’aria e invece le onde ti travolgono, ti capriolano, ti sovrastano spingendoti a fondo. Scalciare alla morte per aggrapparsi alla vita e, infine, dopo tanto agitarsi per l’aria e la sopravvivenza, arriva quel momento di rassegnazione, quella voglia di smettere di lottare nella battaglia impari con la corrente accettando l’abbandono alle sue fredde braccia senza più scampo. Chi riesce a galleggiare, non sa da che parte dirigersi perché è passato improvvisamente dalla stiva al mare e forse, nel buio totale, prova a nuotare verso il largo, anziché verso terra, fiaccandosi in uno sforzo inutile mentre il cuore batte all’impazzata per la paura per sé e i propri cari. Un minuto, forse due, massimo tre per i più resistenti, poi è tutto finito per almeno settanta tra bambini, donne, uomini: persone. Settanta scrigni di amore, di affetti, di lavoro, di amicizie, di genitorialità, di vita ancora tutta da vivere per i più piccoli …. Di umanità. Di tutto quello che siamo noi stessi, gli ultraprivilegiati indigeni italiani, ma semplicemente vissuto con un vestito diverso, una lingua diversa, case diverse, strade diverse, mercati diversi … diversi, eppure uguali perché gli abiti li indossano tutti, comunicare lo fanno tutti, un tetto sulla testa ce l’hanno tutti e anche nella foresta più fitta o nel deserto, gli uomini percorrono antichi sentieri e agli incroci si scambiano i beni facendo mercato.

Nessuna attenuante per le autorità italiane.

Si sapeva che nel Mare Ionio c’era un natante con a bordo molte persone; si sapeva che arrivava la tempesta tanto che la Guardia di Finanza è uscita a cercare quell’imbarcazione con due mezzi: la Vedetta V5006, da 16,50 metri (almeno: tanti ne misura l’analogo V5010) e il Pattugliatore Veloce PV6 “Barbarisi”: 35 metri di lunghezza spinti da 7.000 cavalli di potenza (https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=_rQeUjqUJEQ). Dicono che fossero mezzi inadeguati per quelle condizioni di mare Forza 4, con onde alte da 1,25 a 2,5 metri: quindi, una nave militare da 35 metri (come un palazzo di dieci piani!) non sopporta onde da 2,5 metri? Ma dai!

E poi, se erano inadeguate quelle navi militari, figuriamoci il caicco! Certo, era inutile pensare di controllare i passaporti e la presenza di eventuali merci di contrabbando o droga con quelle onde e la Guardia di Finanza è rientrata in porto senza preoccuparsi più di tanto di quella barca nella burrasca. Eppure, tante altre volte i salvataggi in mare li ha fatti proprio la Guardia di Finanza e durante operazioni di polizia. Perché questa volta non hanno proseguito le ricerche?

Si sapeva che la Guardia Costiera aveva mezzi inaffondabili, ma nessuno è uscito a completare il lavoro lasciato a metà dai cugini delle Fiamme Gialle.

Nel rimpallo di responsabilità, tra operazioni di “law enforcement” e “salvataggio e recupero- SAR”, i colpevoli sanno quello che non hanno fatto quando potevano farlo. Dovranno trascorrere il resto della loro vita sotto il peso di almeno 70 morti che graverà d’ora in poi sulla loro coscienza come 70 macigni e chi è stato loro vicino in quei momenti di rinuncia e fuga, sa della loro vigliaccheria, del loro timore per la carriera in un momento politico così ottuso che addirittura due ministri con la stessa sensibilità per la migrazione sono stati messi insieme a guardia dei patri confini.

Non era “Il buon papà di famiglia”, l’uomo col rosario sempre a portata di mano, quello che nel 2018 ha portato avanti le operazioni di polizia rispetto al principio di precauzione? Nessuno dei due titolari dei dicasteri implicati si assume la responsabilità dell’accaduto offrendo le dimissioni. Lasciano che, di mezzo, ci vadano eventualmente i loro sottoposti. Il governo fa quadrato attorno ai due Ministri. E così il danno per lo Stato raddoppia, aggiungendo il dramma della perdita di onore e disciplina nell’esercizio delle pubbliche funzioni alla tragedia di Steccato di Cutro.

Avanza il dubbio che le istituzioni non siano più attendibili, che la divisa non sia più affidabile, che le regole d’ingaggio superino il discernimento umano. Nessuno che abbia avuto il coraggio almeno di gridare: “Vada a cercali, cazzo!”. E i dubbi, come le ciliegie, si portano dietro altri dubbi. Per esempio, se incontri per strada Piantedosi e Salvini, che fai? Gli stringi la mano o tiri dritto? Se domani venissi a sapere che in un caicco che si dibatte tra i marosi davanti alla costa di Crotone ci sono a bordo Piantedosi e Salvini e tu hai un solo salvagente, che fai? Vai al cinema o a teatro?






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