Il gigante etiope rischia di esplodere
Shukri Said – blog Primavera Africana – I durissimi scontri che dalla fine del 2015 insanguinano la capitale Addis Abeba tra la maggioranza costituita degli Oromo e dagli Amhara contro i Trigrini, minoritari ma al comando delle istituzioni ormai da un ventennio, hanno già provocato un impressionante numero di morti. Le Autorità parlano di appena 52 vittime dall’inizio di ottobre mentre gli attivisti affermano che solo nell’ultima settimana ci sono stati 600 vittime tra i civili.
Gli Oromo, ma soprattutto gli Amhara che diedero i natali al Re Menelik , considerato padre della patria, e a tutto l’establishment che sino ad un ventennio fa governava le istituzioni etiopi, si sono rivoltati contro il regime accusando i suoi vertici di discriminazione sul lavoro e di favoritismi nella gestione della cosa pubblica riservati all’etnia dei Tigrini attualmente al potere.
Scintilla degli scontri è stata la decisione delle autorità di edificare le campagne attorno alla capitale invadendo le terre tradizionalmente di proprietà degli Oromo.
All’iniziativa immobiliare non sono estranee le speculazioni cinesi che nel paese hanno già acquistato terre fertili per oltre due milioni di ettari trasformando gli ex proprietari in semplici braccianti, ma non sono neppure estranei, secondo esponenti governativi, l’Egitto e l’Eritrea: l’Egitto, che della costruzione della diga sul Nilo teme gli effetti negativi sulla propria agricoltura; l’Eritrea che mantiene il ventennale conflitto a bassa intensità con l’Etiopia per la demarcazione dei confini tra i due paesi.
Meles Zenawi, prima di morire prematuramente a Bruxelles nel 2012, aveva promesso libere elezioni proprio per il corrente 2016 ed era sembrato che, in punto di morte, volesse così riscattare un passato dittatoriale inaugurato quando aveva preso il potere nel 1991, dopo la caduta di quel Menghistu che aveva a lungo avversato sino a dover chiedere asilo politico nella Mogadiscio di Siad Barre.
La promessa delle elezioni democratiche non è stata però mantenuta dal partito unico che aveva creato. A Zenawi è succeduto l’attuale Primo Ministro Haile Mariam Desalegn – della sua stessa etnia – il quale ha negato il suffragio universale cancellando cosi le aspettative di 80 milioni di cittadini etiopi di inaugurare finalmente la democrazia dopo tante tirannie e dittature sanguinarie.
Nel tentativo di sedare le rivolte in atto, Desalegn ha ora imposto per sei mesi il coprifuoco. Il Presidente Obama e la Cancelliera Merkel hanno raccomandato, invece, di consentire al popolo di esprimersi liberamente. La libertà di espressione e i diritti umani sono sempre più a rischio ad Addis Abeba considerata la Bruxelles dell’Africa.
Gli attuali scontri etnici in Etiopia hanno, poi, un immediato effetto sulla scena somala. Una parte notevole dell’esercito etiope sta, infatti, rientrando in patria con grande rapidità per arginare l’insurrezione degli Oromo e degli Amhara e già nove città somale sono state abbandonate nuovamente nella mani degli Al Shabab nelle zone di Hiiran e Galmudug. Il ritiro delle truppe etiopi riguarda anche le regioni meridionali di Bai, Bakol e Gedo, sempre più esposte alle infiltrazioni jihadiste. I commentatori ritengono che il ritiro etiope sia benefico per la Somalia perché la sua partecipazione all’AMISOM mirava al tentativo di disgregarne l’unità nazionale.
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